venerdì 12 gennaio 2018

Le storie e i protagonisti del vento artificiale

La sperimentazione aerodinamica venne presa per la prima volta in considerazione da Leonardo da Vinci (1452-1519), il quale riuscì a comprendere che un fluido può esercitare su di un corpo solo una resistenza e non una spinta; inoltre, osservando attentamente il volo degli uccelli, intravide quelli che sono i concetti primari di sostentazione: la velocità relativa tra fluido e corpo e la creazione della portanza a causa della differenza di pressione fra dorso e ventre dell’ala. Più tardi Galileo Galilei (1564-1642) e Isaac Newton (1642-1727) scoprirono che la resistenza aerodinamica è proporzionale al quadrato della velocità relativa, mentre Daniel Bernoulli (17001782) nel 1738 enunciò il principio di conservazione dell’energia, per cui ad un aumento di velocità relativa corrisponde una riduzione di pressione e viceversa. D’Alembert (1717-1783) ipotizzò che la resistenza fosse il frutto dell’urto delle particelle su un solido ma, incurante della resistenza interna del fluido (viscosità), ottenne una pressione uguale sia a valle del corpo che a monte, quindi una paradossale inesistenza della resistenza.

-I PRIMI TENTATIVI

La ricerca non riusciva ancora a dare delle risposte soddisfacenti riguardo l’aerodinamica, ed è per questo motivo che fu necessario trovare nuovi metodi di sperimentazione; la maggior parte dei ricercatori fra il Settecento e l’Ottocento costruì  maneggi o mulinelli, ovvero dei bracci orizzontali che ruotavano a velocità uniforme attorno ad un asse verticale alle cui estremità erano fissati i corpi da analizzare.

 Il primo a realizzare e ad utilizzarli  fu il matematico inglese Benjamin Robins (17031751). I maneggi presentavano notevoli difetti, dovuti principalmente al moto rotatorio che metteva il modello in condizioni di volare all’interno della sua scia (e quindi in una corrente turbolenta) ma anche alle carenze tecnologiche del tempo, rendevano le prove difficilmente misurabili e attendibili.
Maneggi, o Mulinelli



-LE PRIME GALLERIE

Nel 1871 l’inglese  Frank H. Wenham concepì  un condotto da 1,5x1,5ft nel quale l’aria, soffiata da un’elica mossa da un motore a vapore, investe un modello opportunamente supportato nel quale possono essere eseguite varie misurazioni: nasce il concetto di galleria aerodinamica, in cui viene simulata la velocità relativa fra aria e modello. Tra Ottocento e Novecento si abbandonarono quindi i maneggi e si costruirono questi innovativi anche se ancora rudimentali mezzi  in Inghilterra, Stati Uniti, Russia e in Italia, dove nel 1904 lo scienziato Gaetano Arturo Crocco costruì una galleria ad aria spinta da un ventilatore centrifugo da 30HP.


- IN AZIONE

A cavallo fra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento, si approfondì il concetto di portanza, soprattutto con le teorie di Lanchester dell’onda portante (1894) e di Kutta e Jukhovsky, per cui si affermò la necessità di creare dei profili alari di una certa curvatura, che però non deve eccedere in modo da evitare la separazione del flusso e quindi una resistenza aggiuntiva di scia.

La prima galleria dei fratelli Wright era ad aria soffiata e con una bilancia differenziale per ridurre gli effetti di disturbo della corrente che si potevano presentare all’interno della condotta

Galleria dei fratelli Wright


Qualche anno più tardi, Wilbur e Orville Wright, cominciarono a costruire i loro primi alianti, che perfezionarono poi grazie alle loro personali gallerie del vento.

Lo sviluppo e l’utilizzo delle gallerie crebbe in modo esponenziale, sia come termini di potenza e velocità sia come livello di precisione e attendibilità degli esperimenti effettuati, consentendo tra l’altro a Pradtl di formulare la teoria dell’ala finita nel 1911 per cui si potè introdurre il concetto di resistenza indotta.

- SVILUPPI FRA DUE GUERRE

Alle fine della Prima Guerra Mondiale tutte le Aeronautiche Militari possedevano dei centri di ricerca aerodinamica. Si affrontò soprattutto l’influenza del numero di Reynolds sui coefficienti aerodinamici, per poter  trasferire i risultati ottenuti in galleria ai velivoli reali. Per mantenere lo stesso numero di Reynolds si può agire sulla pressione, che influenza la densità e quindi la viscosità.


-IL DOPOGUERRA

Già nelle gallerie degli anni ’30 e nelle battaglie aeree della Seconda Guerra Mondiale si constatarono forti cambiamenti dei coefficienti aerodinamici e della stabilità dei profili a numeri di Mach prossimi a 1. Subito dopo il conflitto venne costruita a Langley una galleria transonica nella quale, per evitare lo strozzamento dovuto alla presenza del modello, vennero impiegate pareti fessurate; questo impianto fu coperto da segreto militare data la sua importanza riguardo il progetto di una nuova generazione di aerei da caccia. Altre gallerie vennero realizzate con pareti perforate per eliminare il problema della riflessione delle onde d’urto.  Altre gallerie transoniche, dette criogeniche, consentono di ottenere alti numeri di Reynolds abbassando la temperatura a pressione costante a circa -180 °C.



 Simulatore del rientro nell’atmosfera dell’Ames (USA)

D’altro canto le gallerie subsoniche furono, dal dopoguerra a oggi, sempre oggetto di miglioramenti, sia per applicazioni che richiedono più accuratezza come nello studio dell’elicottero, sia a causa dell’aumento della produzione di velivoli commerciali in serie e nella necessità quindi di ridurre i costi. Un bell’esempio è lo sviluppo da parte dell’italiano Ferri negli anni ’80 di gallerie a pareti adattabili con il quale è possibile assecondare la direzione del getto e
ridurre sensibilmente l’interferenza di parete, dovuta alla rugosità superficiale, e il bloccaggio, ovvero l’aumento della velocità indisturbata.



 












Incremento negli anni dell'utilizzo delle gallerie

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